LA MORTE

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nestore45
00sabato 28 marzo 2009 06:45
Cosa dice La PAROLA SULL'ALDILA'

La morte di una persona cara è una tragedia che segna per sempre l’esistenza. Questa tragedia diventa persino più tremenda a causa delle errate idee religiose che accompagnano la morte. Non solo per lo stupidario di frasi consolatorie che anziché alleviare il dolore non fanno che renderlo ancora più acuto (“Il Signore l’ha chiamato… l’ha preso…. Era già maturo per il paradiso… i fiori più belli li vuole il Signore… è un angioletto in paradiso… i più buoni il Signore li vuole con sé”) ma per tutto quel che circonda la morte. Nonostante il cammino fatto dal rinnovamento biblico e da quello liturgico si è ancora eredi del Dies irae . Purtroppo molti cristiani non sono stati neanche sfiorati dall’insegnamento di Gesù su una vita capace di superare la morte e vivono ancora gli avvenimenti concernenti la morte con una mentalità che risente più dell’influsso delle credenze ebraiche e della filosofia greca che della novità portata da Gesù. La tematica della malattia e della morte viene affrontata dagli evangelisti, in particolare da Giovanni con la narrazione della malattia, morte e risurrezione di Lazzaro. RISURREZIONE? Quelle che vengono chiamate «risurrezioni» sono - a rigor di termini - «rianimazioni» di cadaveri, un ritorno alla vita biologica, non solo con i limiti di questa vita ma, soprattutto, con la prospettiva drammatica di dover nuovamente morire. In un romanzo del nobel Saramago , la sorella di Lazzaro chiede a Gesù che non risusciti suo fratello, perché “nessuno nella vita ha commesso tanti peccati da meritare di dover morire due volte”. La risurrezione è solo di Gesù perché è l'unico che «risuscitato dai morti non muore più» (Rm 6,9). Quanti consideriamo risuscitati poi sono nuovamente morti. Per risurrezione s'intende l'appartenenza a un mondo nuovo con la trasformazione degli elementi fisici in spirituali. Nei vangeli si narrano solo tre risurrezioni. Due di anonimi: la figlia di Giairo in casa sua (Mt 9,18-26; Mc 5,21-43; Lc 8,40-56) e il figlio della vedova di Nain durante il funerale (Lc 7,11-17). L'unico con nome è Lazzaro (Gv 11), il morto che è stato risuscitato dal suo sepolcro. Nel vangelo di Matteo viene narrata anche una risurrezione imbarazzante: «Gesù, emesso un alto grido, spirò. Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua resurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti» (Mt 27,50-53). Non c'è commentatore che non si trovi a disagio di fronte a questa strana descrizione con morti che risorgono ma prima di uscire dalla tomba aspettano la resurrezione di Cristo... E tutti ammettono che si tratta di una maniera simbolica per indicare che Gesù estende la sua risurrezione anche a quanti sono morti prima di lui. Anche gli ordini impartiti da Gesù ai genitori della figlia di Giairo creano imbarazzo. La morte della figlia è un fatto risaputo. L'evangelista parla di «trambusto e gente che piangeva e urlava» (Mc 5,39). Risuscitata la ragazza Gesù si raccomanda «con insistenza che nessuno venisse a sa-perlo» (Mc 5,43). Come è possibile nascondere un avvenimento del genere? Tutta la gente aveva saputo che la fanciulla era morta. Come nascondere la resurrezione? Queste «risurrezioni» sono un fatto «vero» o «storico»? Intendono indicare una verità di fede o un episodio della vita di Ge-sù? Sorge pure il problema sul perché Gesù non risusciti più nessuna persona e come mai i credenti non siano mai stati capaci di risuscitare i morti nonostante l’esplicito mandato di Gesù “risuscitate i morti” (Mt 10,8). Nel sec. IV, Giovanni Crisostomo, grande Padre della Chiesa, mentre stava spiegando proprio l’episodio della risurrezione della figlia di Giairo, venne interrotto da un padre al quale era appena morta la figliola, e Criso-stomo gli rispose: «Cristo non ha risuscitato la tua figliola?» La risusciterà con una gloria più grande. Questa fanciulla, dopo essere stata risuscitata, più tardi morì di nuovo: ma tua figlia, quando risusciterà rimarrà peri sempre immortale» (XXXI,3). La narrazione della risurrezione di Lazzaro non è la rianimazione di un cadavere già putrefatto, ma l’evangelista presenta il profondo cambia-mento avvenuto nella comunità cristiana nei confronti della morte e della risurrezione. Marta, sorella di Lazzaro, si rivolge a Gesù chiedendole un interven-to che prolunghi ancora un poco la vita del fratello. Marta crede nel Dio che risuscita i morti. Gesù parla di un Dio che non fa morire e che è venuto a trasmettere una qualità di vita indistruttibile: Gesù le disse «Tuo fratello risusciterà» (Gv 11,23). Gesù non risponde a Marta come lei si aspettava «Io risusciterò tuo fratello», ma Tuo fratello risusciterà. La risurrezione del fratello non è dovuta a una nuova azione di Gesù, ma è effetto della persistenza della vita definitiva comunicata dallo spirito. La risposta di Gesù non soddisfa Marta che replica: «So che risusci-terà nell'ultimo giorno». Marta si rifà a quel che sa. La conoscenza di Marta è sempre legata e condizionata dal passato. Marta risponde rifacendosi alla credenza farisaica e popolare riguardo la morte. Ma sapere che il morto «risusciterà nell'ultimo giorno» non solo non causa consolazione ma disperazione... per quel tempo anche Marta sarà già morta e risuscitata... Che cosa sapeva Marta? Nella lingua ebraica non esiste l’espressione vita eterna . Secondo la Bibbia la morte era la fine di tutto: tutti, buoni e cattivi, dopo morti si scende nel regno dei morti. Quando l'influsso della filosofia greca iniziò a farsi sentire pure in Israele, e cominciarono a divulgarsi le dottrine sull'immortalità dell'anima, verso il 200 a.C. un predicatore , contestò vivacemente queste idee: “La sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa; come muoiono queste muoiono quelli; c'è un solo soffio vitale per tutti. Non esiste superiorità dell'uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità. Tutti sono diretti verso la medesima dimora: tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere” (Qo 3,19 21); E ancora: “Vi è una sorte unica per tutti, per il giusto e l'empio, per il puro e l'impuro, il buono e per il malvagio. Questo è il male in tutto ciò che avviene sotto il sole: una medesima sorte tocca a tutti” (Qo 9,2 3). Visione pessimista che tocca il suo culmine quando proclama che è “meglio un cane vivo che un leone morto. I vivi sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla; non c'è più salario per loro, perché il loro ricordo svanisce. Il loro amore, il loro odio e la loro invidia, tutto ormai è finito” (9,4 6); “Tutto ciò che devi fare, fallo finché ne sei in grado, perché non ci sarà più nulla giù nello sheol, dove stai per andare” (Qo 9,10).

nestore45
00sabato 28 marzo 2009 06:54

Nel mondo della Bibbia, non esistendo un al di là, la retribuzione per il bene e il male compiuto avveniva su questa terra. Il bene era compensato con una lunga vita, abbondanza di figli, prosperità. Il male veniva punito con vita breve, sterilità e miseria, e la colpa dei padri era punita nei figli fino alla quarta generazione, secondo la teologia del libro del Deuteronomio: “Io “Yahvé tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi odiano” (Dt 5,9). Il profeta Ezechiele contesta questa visione della vita ed afferma che Dio retribuisce sempre e subito le azioni dell'uomo e che ognuno è responsabile del suo agire: “Colui che ha peccato e non altri deve morire; il figlio non sconta l'iniquità del padre, né il padre l'iniquità del figlio. Al giusto sarà accreditata la sua giustizia e al malvagio la sua malvagità” (Ez 18,20). Quindi ad ognuno il suo. Teologia, questa del profeta Ezechiele, semplice ed accettabile, ma contraddetta dalla realtà che non si presenta così. Per questo nella polemica interviene un autore, che è rimasto sconosciuto, il quale scrive il Libro di Giobbe proprio per contestare questa idea teologica dove si afferma che il buono è premiato ed il malvagio punito, e presenta un uomo pio e buono al quale capitano tutte le disgrazie di questo mondo (compresa quella degli amici che lo vanno a consolare ed offrire i loro buoni consigli: “Ne ho udite già molte di simili cose! Siete tutti consolatori molesti… Anch’io sarei capace di parlare come voi, se voi foste al mio posto: vi affogherei con parole!”, Gb 16,2.4) per dimostrare che non è vero che i buoni vengono premiati. La novità di Daniele A tirar fuori dal vicolo cieco in cui queste dispute teologiche avevano condotto, sarà un anonimo autore del II secolo, il quale per dare coraggio ai martiri della persecuzione religiosa del terribile Antioco Epifane introduce un nuovo, rivoluzionario elemento, quello di un ritorno alla vita dei morti per il giudizio finale limitato ai giusti del popolo giudaico: “Molti di quanti dormono nella polvere si desteranno: gli uni alla vita eterna, gli altri all'ignominia perpetua” (Dn 12,1 2). E' la prima volta che nella Bibbia compare il termine normalmente tradotto con “vita eterna”. Alla vita eterna, cioè per sempre, l'autore contrappone una “ignominia perpetua”, vale a dire una disfatta definitiva, irreversibile, il fallimento definitivo. L'espressione “ignominia o sconfitta perpetua” si trova nel salmo 78,66, senza alcun senso di sopravvivenza eterna . Fuori della Bibbia ebraica, l'idea di resurrezione si trova nel Secondo Libro dei Maccabei (160 a.C.?). Nel racconto dell'atroce martirio della madre e dei suoi sette figli, viene espressa una fede per la resurrezione ad una “vita nuova ed eterna” (2 Mac 7,9) per i martiri, vita però che viene esclusa per i persecutori: “per te la risurrezione non sarà per la vita” (2 Mac 7,14): la morte sarà eterna, cioè definitiva. Quel che da queste ipotesi teologiche si ricava è che la fede nella resurrezione dei morti è una conseguenza della fede nel Dio Creatore: la resurrezione viene intesa come una nuova creazione dell'uomo intero. Queste nuove teorie però non verranno accettate, anzi verranno condannate come eretiche e rifiutate dalla gerarchia allora al potere, il gruppo dei Sadducei in quanto non contenuta nei primi cinque libri della Bibbia , ma se ne approprieranno i Farisei. Laici pii impegnati ad osservare fedelmente la Legge in tutti i suoi dettagli, i farisei elaborano per primi in maniera sistematica, la dottrina della resurrezione dei giusti. Il premio o la punizione per l'uomo vengono posticipati a dopo la morte per cui il giusto ritornerà alla vita e il malvagio rimarrà nello Sheol. L'idea di risurrezione dei giusti proposta dai Farisei, viene limitata a Israele. Ne sono esclusi i pagani, i bifolchi e quanti vengono seppelliti fuori della Terra Santa. Poi, riflettendo ulteriormente, questo gruppo religioso affermerà che risorgono pure i pagani, ma per essere presentati di fronte al tribunale del giudizio: chi avrà osservato la Legge di Dio verrà ammesso nel giardino dell'eden (il paradiso).
 GESÙ E LA RISURREZIONE
All’obiezione di Marta basata sul suo sapere, quello della tradizione religiosa giudaica, Gesù replica con una dichiarazione che segna il passaggio dal vecchio concetto di vita-morte-risurrezione al nuovo inaugurato dal Signore: Gesù le disse «Io Sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; Gesù non viene a prolungare la vita fisica che l’uomo possiede, sopprimendo o ritardando indefinitamente la morte. Non è un medico o un taumaturgo. Gesù viene a comunicare la pienezza della vita che egli stesso possiede, la vita divina, indistruttibile. Per questo Gesù inizia la sua risposta con ‘Egô eìmi, il Nome divino. Gesù è la risurrezione perché è la vita (Gv 14,6).
Questa qualità di vita quando si incontra con la morte, la supera. Alla comunità che è di fron-te alla distruzione fisica di Lazzaro, Gesù l’assicura che costui vive perché gli ha dato adesione (crede). Marta sperava in una risurrezione lontana. Gesù invece si identifica con la risurrezione che non è relegata in un lontano futuro, poiché egli, che è la vita, è presente. Poi Gesù, rivolto alla comunità dei viventi afferma: Chiunque vive e crede in me, non morrà mai. Credi tu questo? All'individuo che ha la vita definitiva Gesù lo assicura che non fa esperienza della morte. A quanti i danno adesione Gesù comunica il suo stesso spirito, la sua stessa vita che essendo divina non è minacciata dalla morte.
Per Gesù la morte non esiste. Marta ha questa fede? Gesù ha colto l'idea farisaica della risurrezione (ma cambiandone sostanzialmente il contenuto) per parlare agli ebrei, che potevano capire questa categoria teologica (cf. Mc 8,31; 9,31;10,34.). Ai pagani, Gesù non parlerà mai di risurrezione, ma di una vita capace di superare la morte fisica: “chi perde la propria vita per causa mia e del Vangelo la conserverà” (Mc 8,35), La vita eterna che Gesù offre, si chiama così non per la sua durata indefinita, ma per la qualità: la sua durata senza fine è conseguenza della qualità, e Gesù ne parla al presente. Non parla di una vita del futuro, come di un premio da conseguire dopo la morte se ci si è comportati bene nella vita, ma di una qualità di vita che è a disposizione subito per quanti accettano lui ed il suo messaggio e con lui e come lui collaborano alla trasformazione di questo mondo. Gesù dichiara: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” (Gv 6,54) . La vita proposta da Gesù è di una qualità tale che quando si incontrerà colla morte la oltrepasserà: “se uno osserva la mia parola non vedrà mai la morte” (Gv 8,51). Gesù assicura che chi vive come lui è vissuto, cioè facendo sempre del bene, non farà l'esperienza del morire. La permanenza della vita attraverso la morte è quel che si chiama risurrezione. Pertanto, secondo gli evangelisti, la vita eterna non è un premio nel futuro ma una condizione del presente. Gesù ne parla sempre al presente «Chi crede ha la vita eterna...» (Gv 3,15.16.36).
Gesù non risuscita i morti ma comunica ai viventi una vita capace di superare la soglia della morte, per questo Paolo può dire che i credenti sono già risuscitati: «Con lui ci ha anche risuscitati [= conrisuscitati] e ci ha fatti sedere [= consedere] nei cieli, in Cristo Gesù» (Ef 2,6); «Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. Con lui Dio ha dato vita anche a voi...» (Col 2,12-13); «Se dunque siete risorti con Cristo...» (Col 3,1).

Questa realtà era talmente viva nella comunità cristiana che nei vangeli apocrifi si legge: “Chi dice: prima si muore e poi si risorge, erra. Se non si risuscita prima, mentre si è ancora in vita, morendo, non si risuscita più” (Vang. Filippo 90). “I morti non sono vivi e i vivi non morranno”(Vang. Tommaso, 11).

nestore45
00sabato 28 marzo 2009 07:00
Al vincitore darò da mangiare dall’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio

Secondo la Bibbia i morti finiscono nello sheol .
Al tempo della Bibbia la terra era considerata una piattaforma che si reggeva su delle colonne che avevano la loro base nella caverna sotterranea o regno dei morti, lo sheol. Al di sopra della terra c’era la volta celeste composta di ben sette cieli, ripartizione cosmologica che si trova nella Lettera di Paolo ai Filippesi: “Perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Fil 2,10). Al di sopra del settimo cielo c’era la dimora di Dio. Secondo i rabbini tra un cielo e l’altro c’era una distanza di ben cinquecento anni di cammino.
 Paolo afferma di aver raggiunto il terzo cielo . Lo Sheol è Il mondo sotterraneo dove finiscono tutti i morti, dimenticati da Dio (Sal 6,5). I morti ridotti a larve, ad ombre , si nutrono di polvere: “i morti non vivranno più, le ombre non risorgeranno” (Is 26,14). Il termine ebraico sheol è stato tradotto con il greco Ade, il regno sotto terra, che, secondo la mitologia greca, alla ripartizione del mondo tra i tre figli di Cronos, Zeus, Poseidone e Ade, era toccato al terzo figlio, lo spietato Ade . In latino sheol e ade vengono resi con Inferi , nome col quale i romani designavano le divinità e gli abitanti dell'oltretomba per estensione all’oltretomba stesso, la parte inferiore, più profonda della terra . La discesa agli inferi del Cristo compare per la prima volta in una professione di fede verso la metà del secolo V, nella cosiddetta quarta formula di Sirmio del 359, opera del siro Marco di Aretusa. Nel Credo il riferimento a Gesù che “discese agli inferi” si deve alla Prima Lettera di Pietro: “E nello spirito andò a portare l’annuncio anche agli spiriti in prigione” (1 Pt 3,19). L’autore intende affermare che Gesù ha comunicato anche a quanti sono morti prima di lui la vita capace di superare la morte. Il mondo dei morti nel Nuovo Testamento viene indicato anche con altri termini: - chasma (Baratro/Voragine) “Tra noi e voi c’è un grande abisso [chasma]”Lc 16,26; - abyssos (Abisso) “Lo supplicavano che non intimasse loro di andare nell’abisso [abysson]” Lc 8,31; - geenna “Chi gli dice pazzo sarò sottoposto alla geenna di fuoco” Mt 5,22.29.30: 10,28; 18,9; 23,15 33; Mc 9,43.45.47; Lc 12,5). La Geenna è un burrone a sud di Gerusalemme, dove c'erano altari (tofet) nei quale venivano sacrificati i bambini in onore del dio Molok (Lv 18,21): “Hanno costruito l’altare di Tofet, nella valle di Ben-Hinnon, per bruciare nel fuoco i figli e le figlie” (Ger 7,31). Il re Giosia cercò di stroncare questo culto , ma fu solo quando la valle venne trasformata in immondezzaio di Gerusalemme, che si smise di praticare questi sacrifici umani. Col tempo questa valle divenne simbolo di punizione per i malvagi dopo morte, come è scritto nel Talmud: “Il Santo, che benedetto sia, condanna i malvagi nella Geenna per 12 mesi. Prima li affligge col prurito, quindi col fuoco ed infine con la neve. Dopo 12 mesi i loro corpi sono distrutti, le loro anime sono bruciate e sparpagliate dal vento sotto le piante dei piedi dei giusti” (Sanh.29b; Tos. Sanh.13,4 5). Nell'ebraismo non esisteva e non esiste un’idea di una pena eterna da scontare dopo la morte. Dopo 12 mesi c'è l'annientamento della persona (anche oggi gli ebrei pregano per undici mesi per il defunto, dopodiché o è nella vita eterna e non ha bisogno di preghiere, oppure è morto per sempre e le preghiere sono inutili). Gesù prenderà l’immagine della geenna come metafora per indicare la distruzione totale della persona che non accoglie il dono di una vita più forte della morte. Al rifiuto della vita per sempre corrisponde la morte per sempre. E' questo il significato del monito che corre lungo tutto il vangelo da parte di Gesù di cambiare atteggiamento altrimenti la fine è nella Geenna, cioè nell'immondezzaio. PARADISO Il termine paradiso deriva dal medio iranico pardez, che significa: giardino, parco. Traduce l'ebraico gan (giardino). Nella Bibbia dei LXX il termine traduce prevalentemente giardino. Nei vangeli, il termine paradiso si trova una sola volta, in Lc 23,42, quando Gesù rivolgendosi al malfattore appeso con lui alla croce l'assicura di entrare con lui nella vita definitiva (“In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”). Mai nei vangeli Gesù parla di paradiso per indicare la realtà che spetta all'uomo oltre la morte. Gesù parla sempre e unicamente di una vita capace di superare la morte e che per questo si chiama eterna. Nel resto del NT il termine paradiso appare solo due volte: in 2 Cor 12,4 dove Paolo afferma che “fu rapito in paradiso e udì parole indicibili” e nel Libro dell’Apocalisse: “Al vincitore darò da mangiare dall’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio” (Ap 2,7)

nestore45
00sabato 28 marzo 2009 07:06
Morte come trasformazione - La morte seconda

Pertanto, nel messaggio di Gesù, per risurrezione non s’intende la sopravvivenza di un'anima, ma la persona stessa che continua la sua esistenza in una diversa dimensione in una continua crescita e trasformazione di se stessa verso la piena realizzazione, come recita il prefazio per la messa dei defunti: “La vita non viene tolta, ma trasformata”. E’ la vita stessa che continua, non un’essenza spirituale dell’individuo.
La vita, trasformata e arricchita dal patrimonio di bene reca con sé, come scrive l’autore dell’Apocalisse: “Beati fin d’ora i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono” (Ap 14,13). L’autore afferma che la morte fisica non ha l’ultima parola sulla vita del credente. La morte non è una sconfitta o un annientamento e neanche l’ingresso in uno stato di attesa, ma un passaggio a una dimensione di pienezza. Il riposo al quale allude l’autore non indica la cessazione delle attività, ma la condizione divina, come il Creatore che “compì l’opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno” (Gen 2,2). Solo chi crea e comunica vita entra nella dimensione di riposo, mentre “chiunque adora la bestia e ila sua immagine e prende il marchio del suo nome, non ha riposo né giorno né notte” (Ap 14,11). La vita non viene trasformata dopo la morte, ma ha già iniziato nel corso dell’esistenza dell’individuo la sua trasformazione. Arriva un punto della vita nel quale l'armonica crescita della persona nella sua componente biologica e quella spirituale o morale subisce una metamorfosi. Mentre la maturità di pensiero si consolida, il corpo inizia il suo lento inesorabile cedimento fino allo disfacimento definitivo. Se fino a una data età l’individuo era cresciuto in maniera armonica e graduale, e allo sviluppo del corpo si accompagnava anche lo sviluppo dell'intelletto, della morale, della spiritualità, di quello che rende una persona tale, arriva un momento dell’esistenza in cui la parte biologica, raggiunto il suo apice inizia un graduale declino, mentre la parte detta spirituale continua la sua crescita verso il massimo della sua potenza. Mentre la parte spirituale dell’individuo continuerà a svilupparsi, la componente biologica proseguirà il suo inevitabile declino. San Paolo esprime stupendamente questo concetto: “Per questo non ci scoraggiamo, ma anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro [uomo] interiore si rinnova di giorno in giorno” (2 Cor 4,16). All'inevitabile disfacimento della parte biologica, corrisponde la pienezza della maturità, alla morte delle cellule la vita indistruttibile.
Quindi morte non più come distruzione ma trasformazione o realizzazione della persona accolta a far parte della pienezza di quel Dio che ha per essi preparato “quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo” (1 Cor 2,9) Morte biologica e morte definitiva: “La morte seconda” Nell’Apocalisse, Cristo si presenta come il vincitore della morte: “Colui che fu morto e tornò in vita” Ap 2,8; “Rimani fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita… Il vincitore non ha nulla da temere dalla seconda morte” (Ap 2,10.11) “Beati e santi coloro che prendono parte alla prima risurrezione. Su di lo-ro non ha potere la seconda morte…” (Ap 20,6; 21,8). “Beati fin d’ora i morti che muoiono nel Signore” (Ap 14,13).
La morte seconda era un’espressione tipica del giudaismo targumico per indicare l’esclusione dalla risurrezione. Oltre la morte fisica, che non interrompe la vita del credente, c’è il pericolo di una morte “definitiva”, to-tale, che spegne ogni speranza di futuro. La prima morte è quella alla quale tutti sono soggetti, è quella biologica. La seconda è la constatazione del fallimento di vita, della mancata ri-sposta agli stimoli vitali in tutta la sua esistenza.
Nella nuova creazione che Dio ha inaugurato con Gesù non c’è più posto per la Morte. Dopo che il satana e i suoi complici sono stati gettati nel lago di fuoco, la morte viene distrutta. La morte viene svuotata della sua drammaticità ed è considerata un passaggio necessario per entrare nella gloria definitiva.
La Morte e l’Ade finiscono nel nulla (lo stagno di fuoco). Affermare che la Morte è stata gettata in se stessa (la “morte seconda”) sembra un non senso, invece è molto eloquente perché serve a indicare che anche la Morte scompare dall’orizzonte umano . Gesù e la morte seconda Nel vangelo di Matteo Gesù annunzia ai suoi discepoli le persecu-zioni alle quali essi andranno incontro a causa della fedeltà al messaggio: E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo [sôma], ma non hanno potere di uccidere la vita [psychèn]; temete piuttosto chi ha il potere di distruggere la vita e il corpo nella Geenna (Mt 10,28). Se l'opposizione ai valori della società ingiusta può provocare la per-secuzione e la perdita della vita fisica (il corpo), l'adesione ai valori del sistema, rappresentato da mamona (Mt 6,24), conduce alla totale distruzione della propria esistenza (la vita) che, come un rifiuto qualsiasi, viene gettato nell’immondezzaio di Gerusalemme (Geenna) per essere distrutto completamente.
Gesù assicura i discepoli perseguitati che nonostante le apparenze, i persecutori non vinceranno mai, perché tra costoro e i perseguitati, il Padre si pone dalla parte di questi ultimi: se mamona è il dio che distrugge, il Padre è il Dio che vivifica. L’impossibilità di parlare di una realtà che non è possibile sperimentare in pienezza durante l’esistenza, fa sì che gli evangelisti per indicare la realtà della morte adoperino delle immagini, prese dal ciclo vitale della natura, quali il germogliare del chicco di grano e il dormire. Chicco di grano “Se il chicco di grano caduto a terra non muore, rimane solo; se muore, invece, produce molto frutto” (Gv 12,24). Attraverso l’immagine del chicco che marcendo produce frutto abbondante Gesù dichiara che la morte non è che la condizione perché si liberi tutta l’energia vitale che l’uomo contiene. La vita che è in lui racchiusa attende di manifestarsi in una forma nuova incomparabile con la precedente. L’uomo possiede molte più potenzialità di quante normalmente appaiono. Ogni tanto nella vita dell’individuo queste capacità fanno capolino nei momenti di emergenza, quando di fronte a situazioni impreviste che costringono l’uomo a donarsi, si scoprono energie finora sconosciute, resistenze inaspettate e capacità d’amore inesplorate. Nel breve arco della sua esistenza terrena l’uomo non ha possibilità di sviluppare tutte le sue potenzialità. Con la morte tutte queste capacità ed energie saranno completamen-te liberate e sviluppate e permetteranno la definitiva crescita della persona. Dormire “La ragazza non è morta, ma dorme” (Mt 9,24). “Il nostro amico Lazzaro si è addormentato… Lazzaro è morto” (Gv 11,11.14). Il termine cimitero deriva dalla parola greca che significa dormitorio. Per i primi cristiani la morte era un addormentarsi. Il dormire non fa parte della morte ma del ciclo vitale. Dormire è quell’azione che consente all’individuo di rinfrancarsi dalla stanchezza per poi riprendere con maggiore vigore la sua vita. La morte è un momento del ciclo vitale che consente all’individuo di riprendere con più forza e energia la sua esistenza.

nestore45
00sabato 28 marzo 2009 07:12
Togliete la pietra!

Nella narrazione della risurrezione di Lazzaro, l’evangelista offre an-che alcune indicazioni sul corretto atteggiamento nei confronti della morte, che non sarà né di disperazione come quelli per i quali la morte è la fine di tutto e neanche di esaltazione spirituale come si vede in certi gruppi carismatici. Gesù, quando vede le sorelle di Lazzaro piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, fremette. Gesù non si «commosse» (tr. CEI) , ma «sbuffò » (o «fremette»). Gesù reprime il proprio sentimento. Non tollera che venga fatto il lamento funebre per Lazzaro, come nella casa di Giairo dove cacciò via tutti quanti (Mc 5,40). Ancor più non tollera che Maria e i suoi discepoli siano senza speranza come i Giudei che non hanno accolto il messaggio di Gesù e per i quali la morte era la fine di tutto. E' un atteggiamento di rimprovero quello di Gesù diretto principalmente verso Maria, figura centrale della comunità. E turbato disse: «Dove l'avete posto?». Gli dissero «Signore, vieni a vedere!». Gesù inizia a prendere le distanze: dove voi l'avete posto. Sono essi che l’hanno collocato in un sepolcro senza alcuna speranza. Questa espressione «vieni e vedi» Giovanni l'ha usata all'inizio del suo vangelo nell'invito fatto da Filippo a Natanaele per condurlo da Gesù (Gv 1,46). Mentre lì indica la direzione verso la vita, qui, in bocca dei Giudei, la direzione verso la morte. Gesù cominciò a lacrimare ... Mentre Maria e i Giudei si lamentano manifestando la loro dispera-zione, Gesù piange, esprimendo il suo dolore. L'episodio della figlia di Giairo è simile. Gesù entrato nella casa vede “trambusto e gente che piangeva e urlava” (Mc 5,38), e li caccia via tutti. Dal punto di vista narrativo le lacrime di Gesù sono fuori luogo. Se Gesù sta per risuscitare Lazzaro, perché piange? Le lacrime di Gesù mostrano il suo dolore e il suo affetto per il discepolo suo amico, come viene correttamente commentato dai presenti. Dissero allora i Giudei «Vedi come gli voleva bene!». Ma alcuni di loro dissero «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?». Però mentre i Giudei interpretano l'affetto di Gesù al passato (amava) Gesù dimostra al discepolo l'amore sempre presente. Nella guarigione del cieco Gesù aveva ripetuto i gesti del creatore (fango) (Gv 9,6). Ora completa l'azione creatrice facendo rendere conto alla comunità della vera creazione che culmina con una vita capace di superare la morte. Mentre la prima creazione si concludeva con la morte la seconda continua con la vita. Intanto Gesù, ancora sbuffando/fremendo, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. Gesù di nuovo «sbuffa» di fronte tanta ottusità. La precisazione che il sepolcro era una grotta ricorda il sepolcro dei patriarchi, la grotta di Macpela, dove furono seppelliti Abramo, Isacco e Giacobbe (Gen 49,29-32; 50,13). La grotta sepolcro è legata alle origini del popolo, in opposizione al sepolcro nuovo di Gesù, nel quale nessuno era stato ancora posto (Gen 19,41). La grotta-sepolcro rappresenta l’antico, il sepolcro d’Israele dove tut-ti erano posti. Lazzaro è stato seppellito alla maniera giudea “per riunirsi con i suoi padri” (Gen 15,15). La pietra collocata separa definitivamente il mondo dei vivi da quel-lo dei morti. Disse Gesù «Togliete la pietra!». Sono essi che devono togliere la «pietra» messa sopra = fine definitiva («Mettere una pietra sopra», sotterrare definitivamente qualcosa). L'importanza della «pietra» è sottolineata dalla ripetizione ben tre volte del termine (vv. 38.39.41). Gli rispose Marta, la sorella del morto «Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni». La fede perfetta espressa da Marta vacilla di fronte alla realtà: il morto è già in putrefazione e puzza, meglio lasciarlo dove sta. Le disse Gesù «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?». Nel colloquio avuto, Gesù non ha parlato con Marta di gloria di Dio, ma di una vita indistruttibile. Collegando i due termini gloria-vita, l'evangelista indica che nella vita indistruttibile si manifesta la gloria di Dio, si rende visibile l'azione di Dio. Ma Marta non può vedere fino a che non giunge a credere questo. A Gesù avevano chiesto «Quale segno fai perché vediamo e credia-mo» (Gv 6,30). Gesù inverte la formulazione: occorre credere per poter vedere. Il segno non conduce l'uomo alla fede, ma al contrario la fede produce il se-gno. La risurrezione di Lazzaro viene condizionata dalla fede della sorel-la: «se credi... vedrai». La risurrezione di Lazzaro può essere «vista» solo da quanti avranno «creduto». Indicazione preziosa che quel che segue non è un avvenimento storico, ma teologico. Non riguarda la cronaca ma la fede. Tolsero dunque la pietra. Di fronte al rimprovero di Gesù la comunità decide di togliere la pietra messa sopra eliminando la frontiera tra morti e vivi, e si apre alla vita, comprendendo che quelli che sono morti sono vivi. Gesù allora alzò gli occhi e disse «Padre, ti ringrazio [eycharistô] che mi hai ascoltato. Marta aveva chiesto a Gesù di chiedere al Padre (v.22). Gesù non «chiede», ma «ringrazia» il Padre. Il verbo ringraziare [eycharisteô] da cui proviene eucaristia appare nel vangelo di Giovanni tre volte: due nell'episodio della condivisione dei pani (6,11.24) e il terzo nell'episodio di Lazzaro. I tre episodi sono in stretta relazione con l'eucarestia: il dono generoso di quel che si ha e si è espresso nella condivisione dei pani comunica una vita capace di superare la morte: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno... Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna” (Gv 6,51.54). Inoltre l'espressione di Gesù è una citazione del Salmo 118,28: “Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie...” che è il ringraziamento per la salvezza dalla morte: “Non morirò, resterò in vita e annunzierò le opere del Signore. Il Signore mi ha provato duramente ma non mi ha consegnato alla morte” (v.17-18). Gesù è stato accusato di farsi uguale a Dio (Gv 5,18), di farsi Dio (Gv 10,33). Ora dimostra che lui e il Padre sono una cosa sola: Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». E, detto questo, gridò a gran voce «Lazzaro, vieni fuori!». Gesù aveva annunciato: “verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno” (Gv 5,28). Gesù non compie alcuna azione su Lazzaro (alla figlia di Giàiro pre-se la mano (Mt 9,25), e al figlio della vedova di Nain toccò la bara, Lc 7,14). Il morto uscì, con i piedi e le mani legate da bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù ha chiamato fuori della tomba Lazzaro, ma colui che esce è il morto. lazzaro non deve uscire, lui non è più nbella tomba, è già col Padre, nella pienezza della vita, chi deve uscire è il morto, la credenza che il defunto fosse nel sepolcro. La maniera di seppellire i morti descritta dall’evangelista (legare mani e piedi) era sconosciuta tra i Giudei, pertanto la descrizione anche qui ha valore simbolico: Lazzaro è legato come un prigioniero, è prigioniero della morte . Per il sudario il riferimento è a Isaia: “Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia [sudario] di tutti i popoli... eliminerà la morte per sempre: il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto...” (Is 25,7-8 ). I riferimenti espliciti a questi salmi vogliono indicare che Gesù, come Dio, può liberare dai lacci della morte coloro che ama. Gesù disse loro «Scioglietelo e lasciatelo andare». Voi l'avete legato... immobilizzato impedendo ogni possibilità di movimento. Sciogliendo il morto la comunità si scioglie dalla paura della morte. Lazzaro è già con il Padre: è il morto che deve essere sciolto. La parola chiave dell’intera narrazione è “lasciatelo andare”. Il verbo “andare”» è usato da Gv per indicare il cammino di Gesù verso il Padre passando per la morte Gesù non restituisce, come ci si sarebbe aspettato, Lazzaro ai suoi, ma lo lascia andare, libero. Non è che Lazzaro debba ancora andare al Padre: c'è già. Sono essi che devono lasciarlo andare senza trattenerlo come morto. Si chiede un cambio di mentalità alla comunità cristiana, per passare dalla concezione giudaica della morte a quella cristiana.

@New
00sabato 28 marzo 2009 11:53
Caro Nestore,
quando si fanno i copia/incolla bisogna sempre dire subito da dove si è preso l'articolo, bisogna sempre dare il link.

So chi è l'autore (è un Frate cattolico) e adesso mi chiedo: "Non sarà forse un modernista?".

Per i lettori:

Attenzione, cautela per quegli studi, perché, sono sì interessanti ma a mio avviso ci sono cose che non concordano con la Bibbia.

E' vero che ci vuole l'esegesi, ma l'esegesi non deve mai correre il rischio di mettere in discussione dei principi biblici come per esempio i miracoli.

Poi ognuno è libero di interpretare come vuole, però chi divulga le proprie interpretazioni se ne assume la responsabilità su dubbi e confusioni in cui un lettore sia poi indotto.

Io sono persuaso che le cose semplici siano le migliori, i semplici capiscono e credono alla Parola, se c'è scritto che Lazzaro è risuscitato vuol dire che è risuscitato e io ci credo perché lo dice la Bibbia.




AnnaC.19
00domenica 29 marzo 2009 19:41

So chi è l'autore (è un Frate cattolico)



Anch'io ho riconosciuto la fonte. [SM=g27988]

Non so se è un modernitsta, certamente il discorso della vita eterna come vita di una qualità tale da superare la morte è in linea con quello che affermava Gesù. Per il discorso dei miracoli, intesi come segni, in realtà, nei vangeli (testo greco) si parla proprio di segni, il che non esclude il miracolo come fatto avvenuto ma lo riporta anche per il suo valore simbolico. Es. i ciechi vedono (apertura degli occhi per comprendere una realtà che prima ignoravano), gli zoppi camminano (il cammino nella fede seguendo Gesù, vera via). i sordi odono (la comprensione del messaggio evangelico) ecc. ecc.
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